Tripofobia? No, grazie

Ho realizzato questo sito perché a mio avviso si parla ancora poco di tripofobia e ho pensato che raccontare la mia esperienza possa essere utile dato che molte persone che ne soffrono non sanno che esiste la paura dei buchi e che ha un nome: la tripofobia appunto.

Io stesso ignoravo la tripofobia, l’ho scoperta per caso e la cosa più assurda è che l’ho scoperta una volta che l’avevo già superata! Se hai qualche minuto te lo racconto nelle righe che seguono.

L’augurio è anche quello di intercettare chi effettua ricerche a riguardo per fornirgli qualche spunto e uno spazio online per potersi confrontare: in fondo alla pagina è disponibile una sezione commenti dopo puoi lasciare la tua esperienza o considerazioni sull’argomento.

uomo vittorioso in cima alla montagna

Tripofobia: come l’ho scoperta

Prima di raccontarti com’è andata ti dico qualcosa su di me. Classe 1981, per professione mi occupo di web, SEO e posizionamento sui motori di ricerca. Smanetto sul web da quando non esisteva l’ADSL, Google era agli albori e i social network così come li conosciamo oggi non erano minimamente immaginabili.
Perché ho fatto questa premessa? Perché è proprio grazie alla mie competenze che, effettuando ricerche sul web, qualche anno fa ho scoperto la tripofobia e sono rimasto letteralmente a bocca aperta!
Ma non perché le immagini e le letture nelle quali mi sono imbattuto mi provocassero malessere (non sarei riuscito a creare questo sito altrimenti e soprattutto a caricare le immagini)…

… ma perché subito ho pensato: “ecco anni fa cosa mi dava fastidio, erano i buchi ravvicinati…”, e ancora “ecco perché provavo malessere se vedevo il favo delle api con il miele, non avevo paura delle api…erano proprio i buchi!!!”, e poi “strano che volessi tatuarmi un fiore di loto, ma provavo disagio nel vedere un baccello che ne contiene i semi…”

Dopo aver fatto questi ragionamenti, mi sono detto: “Ma com’è che ora non provo più fastidio? Riesco a guardare tranquillamente le stesse immagini che anni fa mi provocavano nausea e sudore freddo. Addirittura ora trovo strano che quelle immagini possano dar fastidio. Com’è possibile tutto questo?

Andiamo per gradi.

Facendo mente locale mi sono ricordato che quando andavo alle scuole medie e durante i primi anni delle superiori, provavo disagio e spostavo lo sguardo da oggetti e immagini composti da buchi ravvicinati. Se vedevo un documentario sull’apicoltura non riuscivo a guardare il favo delle api, ero disgustato alla visione di qualunque oggetto composto da buchi dai quali fuoriuscivano liquidi o gel.
Un giorno, mentre guardavo una trasmissione che parlava di effetti cinematografici, ricordo che la visione di un manichino al quale era stata applicata una pelle traforata mi aveva creato una sensazione di nausea fortissima.
E questo si ripeteva alla visione di molte di quelle immagini che disturbano le persone tripofobiche.

Fortunatamente oggetti che si utilizzano spesso, ad esempio le spugne, o alimenti come le fragole e il melograno, non mi hanno mai dato fastidio.

Ovviamente non ne avevo mai parlato con nessuno, pensavo che fosse normale provare disgusto per certe immagini, a maggior ragione se artefatte come quelle di un manichino utilizzato nelle riprese di un film. Oppure pensavo che era più che normale che le api sull’alveare potessero incutere timore.
Inoltre non avevo mai sentito nessuno che avesse quelle stesse sensazioni solamente guardando certe immagini.

Ed ecco che qualche anno fa, mentre effettuavo delle ricerche online per reperire immagini utili alla realizzazione del sito web di un mio cliente, mi sono imbattuto in una fotogallery di un’artista straniero. Per alcune immagini era riportata, in inglese, una frase che recitava più o meno così: “se soffri di tripofobia non dovresti guardare queste foto“.

Ho quindi inserito la parola tripofobia su Google… e mi si è aperto un mondo.

Ecco che ti ho raccontato come ho scoperto la tripofobia e come ho potuto capire che anni addietro ne soffrivo.

Tripofobia: quanti ne soffono?

Approfondendo sempre più le ricerche, prima su siti stranieri, poi in quel poco che si trovava su siti italiani, mi sono reso conto che erano tante le persone che lamentavano gli stessi sintomi. Alcune parlavano addirittura di vomito, ansia e fastidio anche al solo pensiero.
Nei commenti sui social, sotto i video e nelle pagine web, sempre più persone dicevano sostanzialmente quello che ho scritto poco sopra: ovvero non erano a conoscenza della tripofobia e di conseguenza avevano difficoltà a parlarne perché non sapevano con chi confrontarsi e come esternare il tutto.

Oggi, anche grazie agli studi che vengono condotti e alla maggiore diffusione di informazioni a riguardo, sono sempre più le persone che lamentano di soffrire di tripofobia.

Tripofobia: come l’ho superata.

uomo vittorioso

Detto questo mi rimaneva da capire come mai non ero più infastidito da certe immagini.

Approfondendo le letture riguardo ad altre fobie più conosciute e già trattate dagli specialisti (come la paura dei ragni ad esempio) ho trovato che clinicamente esiste una tecnica chiamata terapia dell’esposizione. Questa tecnica consiste nell’esporre gradualmente i malati alle immagini e agli oggetti responsabili delle reazioni. Così facendo ci si abitua a tollerare quegli stimoli sino a comprendere che non c’è niente di cui avere paura.

Ed ecco l’illuminazione! Per me molto probabilmente è andata così: io stesso mi sono esposto lentamente ad immagini che mi infastidivano, perché volevo capire sino a che punto potessi arrivare.
Mi spiego meglio: sapevo che alcune immagini mi creavano disagio, ma non sapendo cosa esattamente mi dava fastidio, ogni tanto ne cercavo sempre di diverse. Ad esempio cercavo immagini e video con le api, e li guardavo per capire se a darmi fastidio era lo sciame, il pungiglione, il loro colore, ecc. Oppure cercavo immagini dei set cinematografici per capire se in un film horror mi davano fastidio le maschere, alcune ambientazioni, gli effetti sonori, e così via. Cercavo immagini di insetti per capire se qualche specie potesse infastidirmi.

Ovviamente non passavo le giornate a fare queste prove, che tra l’altro non mi portarono a trovare una spiegazione logica, ma probabilmente l’averlo fatto ripetutamente mi ha come abituato a certe immagini facendo sparire la paura.

Alcune mie considerazioni finali

ATTENZIONE: questa è solamente la mia personalissima esperienza. Non c’è nulla di scientifico: quanto descritto è frutto di miei liberi ragionamenti che ho messo insieme dopo varie letture e senza mai essermi confrontato con un medico. Come già scritto, e come è ragionevole che sia, per quanto riguarda la salute ci si deve sempre rivolgere ad un medico!

4 commenti su “Tripofobia? No, grazie”

  1. Io invece sono affascinata, stregata da tutte le immagini con buchi, anche le più disgustose. Di che mania si tratta. Tripomania?

  2. Da tempo, ora sono una settantenne, mi provocavano disturbo, disagio e desiderio di guardare altrove le immagini con buchi o pattern ripetuti. Ma quando ho visto quelle mani….. bucate, mi sono letteralmente sentita male , cominciando a sudare copiosamente. Ora so come si chiama questo disturbo.

  3. Credo di avere avuto un’esperienza simile alla tua , con lo stesso percorso . A parte qualche particolare tipi il favo , che a me non ha mai dato fastidio, ma sto uscendone anch’io da queste brutte sensazioni con lo stesso tuo metodo e , pur associandomi al fatto che tutto ciò non ha nulla di scientifico, anche nel mio caso accostandomi sempre più alle immagini di buchi, fastidiose , sto accorgendomi che non mi danno più così tanto fastidio .
    Maurizio Lanzini

    1. Ciao Maurizio. Ti capisco e spero che anche tu possa superare totalmente queste brutte sensazioni!
      Sai, scavando a fondo e poi parlando con un’amica psicologa e psicoterapeuta (spero a breve di pubblicare la piacevole chiacchierata che ho fatto con lei), ho scoperto l’esposizione che è una tecnica vera e propria che consiste nel far entrare in contatto l’individuo con ciò che teme per fargli assimilare e comprendere che non c’è da avere paura per quegli oggetti o situazioni.
      È esattamente quello che io e te abbiamo fatto inconsapevolmente e in autonomia 🙂
      Ti auguro il meglio.
      Gian Gavino

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